LA BOTTEGA DEI BRIGANTI

BENVENUTO NELLA TERRA DEI BRIGANTI...Riti antichi dei pastori del Cilento

27.12.2013 14:16

   

Per chi è cresciuto tra pastori e contadini del Sud la lettura de Il tamburo del diavolo. Miti e culture del mondo dei pastori di Giuseppe Colitti è un evento emotivo indescrivibile. I pastori del Cilento che questo grande antropologo dell'oralità ha ascoltato e registrato a partire dal 1971 – per un totale di 2.300 ore di registrazione – sono figure antichissime, totalmente superate dalla storia; eppure questi tristi e dolcissimi "ultimi" vissero appena ieri, tanto che ci si chiede se gli attuali sconquassi socio-economici non siano dovuti anche a un troppo rapido e tumultuoso passaggio da una civiltà all'altra.
Non sono pochi, infatti, i meridionali che sono figli e nipoti del mondo chiuso e pre-moderno che Colitti indaga, anche se quel mondo lì è per sempre sceso, nell'arco di un paio di decenni, per usare un'efficace immagine sinisgalliana, nel "dimenticatoio", tanto da lasciare in questi figli e nipoti la sensazione dolorosa di uno scempio, di una menomazione, di un colpevole genocidio culturale.
Ammettiamolo senza infingimenti: si prova senso di colpa, a leggere le confessioni, i ricordi, le idee, i rammarichi, i racconti crudeli e mitologici di questi pastori cilentani registrati in "presa diretta": senso di colpa, forse, per come ci si è troppo in fretta privati, con la cosiddetta modernità, del misterioso nesso morale che legava la povertà alla dignità, la sofferenza alla speranza, l'offesa a una struggente e disarmante umiltà. I pastori di Colitti raccontano con i piedi caldi del benessere, che ha lambito in un modo o nell'altro anche loro, gli anni duri del passato, in specie quelli antecedenti alla riforma agraria. Dice Antonio Calabrese, pastore di Monte San Giacomo: «Noi eravamo schiavi, come al tempo dei Romani, peggio che al tempo dei Romani. Dovevamo stare vicino a un palo di rete notte e giorno, sotto neve, acqua, lampi, tuoni, saette».
Tanti si appassioneranno maggiormente, leggendo Il tamburo del diavolo, alle simbologie e alle superstizioni del mondo pastorale cilentano (fuoco, demonio, serpenti, lupi, grotte, forre, erbe miracolose, eccetera); altri, invece, alle trasformazioni socio-economiche della pastorizia («oggi vediamo solo studenti», dice un pastore di Sassano); per noi, tra le tante cose, assume valore storico-morale cruciale la storia infinita delle "malepatenze" (patimenti) di questi uomini, per dirla con Carlo Levi, «senza peccato e senza redenzione» (il pastore Nicola Citera di Sanza afferma amaramente che «il pastore è sempre disgraziato»). Per una pecora sbranata da un lupo si veniva picchiati mortalmente dai "massari". Per mangiare un pezzo di carne si attendeva che qualche pecora morisse oppure, come racconta Colitti, si saliva sugli alberi in cerca di nidi.
Il pastore Alfonso Piano di Magliano Nuovo sintetizza bene cosa significasse «stare a padrone»: «Dovevi ubbidire quando ti comandavano, non si diceva mai di no. A mangiare si mangiava pane e un po' di formaggio. Il piatto non c'era. E tante volte i padroni ci concedevano di scaldare le patate, si mondavano e si mangiavano con una fetta di pane, così. Non c'era altro. Si stava agli ordini».
Angelo Ciorciari di Sanza, infine, dice che «oggi siamo diventati tutti signori» e nessuno pensa «che dalla terra viene tutto». Per poi concludere, profeticamente: «Ma questo benessere finirà, perché nessuno vuole più lavorare».